pubblicato su Giornalettismo
In un sensazionalistico articolo di circa un anno e mezzo fa Giampaolo Visetti, l’inviato di Repubblica, raccontava dell’inferno in terra, vale a dire Linfen, nel sud dello Shanxi, la città più inquinata del mondo. Attratto dalle descrizioni degne di un romanzo post-apocalittico decido di passarci un giorno
per vedere con i miei occhi cosa si prova a vivere in un posto dove si
trascorre “la vita al buio, non si distingue la notte dal mezzodì, tutti
vestono di nero, mettono le scarpe nei sacchetti di plastica per
proteggersi dalle polveri sottili e i bambini non sanno cosa sono la
luna e le stelle”.
Lo Shanxi è una regione
fortemente dualista capace di offrire il meglio ed il peggio della Cina.
Da un lato luoghi splendidi come il Wutai Shan, il monte sacro del buddhismo, le grotte di YungYang dove sono scolpiti enormi Buddha ed il tempio sospeso,
miracolosamente attaccato alla roccia, sempre vicino a Datong;
dall’altro un ambiente duramente martoriato dalle miniere di carbone,
una costante del paesaggio che si scorge dal treno. Lo Shanxi produce un
terzo del fabbisogno energetico della Cina e il carbone è fonte di
ricchezza ma anche di devastazione ambientale. Le strade sono percorse
da interminabili file di camion e la viabilità è duramente compromessa
da questi rumorosi giganti della strada. I turisti Lonely Planet,
che attraversano lo Shanxi su treni confortevoli, di solito fanno tappa
a Datong, a Pingyao e in una manciata di altre località segnalate dalla
loro bibbia.
VIAGGIARE IN TRENO IN CINA: Se non si ha la
disponibilità economica di muoversi in aereo per le tratte interne il
treno è un sistema efficiente, confortevole e poco costoso. In Cina,
forse per sopravvivenze assai ridicole del comunismo che ora sussiste
solo formalmente, non esistono le classi, come da noi. Eppure sono
presenti numerosi tipi di sedili e cuccette con delle differenze
abissali in fatto di comodità e di costi. Nulla a che vedere con la
nostra prima e seconda classe, che quasi si equivalgono.
CUCCETTE MORBIDE: Un vero e proprio viaggio da
signori. In uno scompartimento sono presenti 4 letti dove si può stare
comodamente seduti e sdraiati. Ogni letto è dotato della sua luce. Con
le cuccette morbide negli scompartimenti si può chiudere la porta e la
carrozza ristorante è vicina; talvolta sono presenti delle prese di
corrente per il portatile o per caricare il telefonino. Ma il lusso non è
finito. Nelle stazioni, per i possessori di questi biglietti, sono
presenti confortevoli sale d’attesa in cui separarsi dal resto della
plebe, con poltrone più comode in un ambiente “esclusivo”. In alcune
stazioni mi è capitato di vedere anche delle sale d’attesa VIP
con dentro dei PC. Non so chi abbia il privilegio di accedervi, forse i
dirigenti del Partito Comunista! Il diritto di ingresso a queste sale
non è consentito neanche a coloro che sono dotati del biglietto per
cuccette morbide. Indicativamente un viaggio di 600 km “soft sleepers”
costa poco più di 20 euro. Tenete presente che i prezzi variano in base
al tipo di treno ed alla tratta.
CUCCETTE DURE : Anche nei cosiddetti “hard sleeper”
il viaggio è confortevole. Sono presenti in questo caso 6 letti per
scompartimento, 2 colonne di tre letti. Non è presente la porta per
chiudersi dentro. Per salire al piano alto è necessaria un minimo di
tonicità. Si ha lo spazio per sedersi solo nei letti al primo piano, gli
altri devono chiedere ospitalità o utilizzare le apposite seggiole nei corridoi.
I SEDILI, DURI E MORBIDI :I sedili morbidi
corrispondono a quelli dei nostri intercity. Iniziano ad essere
problematici per i viaggi lunghi dove urge il bisogno di stendersi. I
sedili duri invece vanno bene solo per le tratte brevi. Sono scomodi e
costringono a irrigidirsi, ma sono di un’economicità disarmante. Si
fanno tranquillamente 300 km con meno di due euro.
IN PIEDI: Sì, esiste anche questa temutissima
opzione. Una volta terminati i biglietti (e questo succede sempre visto
che i treni in Cina sono perennemente pieni) iniziano a distribuire
senza parsimonia i biglietti standing, riconoscibili perché
caratterizzati solo dal numero della carrozza senza quello del sedile. I
passeggeri in piedi andranno a piazzarsi negli scompartimenti dei
sedili morbidi che si trasformeranno in carri bestiame. Se siete in coda
in stazione e vedete gente che alla velocità di Pietro Mennea cerca di
guadagnare, anche a suon di gomiti, la prime posizioni, è perché ha un
posto in piedi e cerca di conquistare una postazione accettabile, tipo
vicino al bagno o tra una carrozza e l’altra dove ci si può sedere per
terra o sulle valigie. Se, come me, acquistate i biglietti all’ultimo
momento vi capiterà di sperimentare la peggiore violazione dei diritti
umani che subirete in Cina: un lungo viaggio in piedi o accovacciati per
terra, come si vede da alcune foto fatte nella tratta X’ian – Pechino,
quasi 12 ore di standing estremo.
Terminata questa digressione
sui treni torniamo al viaggio nella città più inquinata del mondo,
almeno un anno e mezzo fa, poi pare sia stata superata in questo non
invidiabile record. Con nella testa le vivide immagini del racconto di
Visetti prendo un treno dalla iperturistica Pingyao, praticamente una
paese ad usum shopping, come ne avevo visti nello Yunnan,
in direzione Linfen, consapevole che per quella giornata non incontrerò
neanche un occidentale e che l’inglese avrà lo stesso valore del
sanscrito nell’alta società viennese.
Arrivo e il sole brilla in cielo, c’è una leggera brezza, la visibilità è eccellente. Avrò sbagliato città? Sarà questo uno dei tre giorni di sole in tutto l’anno?
E dove sono gli zombie vestiti di nero, gli “spettri del mondo”? Qua,
come nel resto della Cina, le ragazze indossano pantaloncini
estremamente corti e gli abiti bianchi, per proteggersi dal caldo, vanno
per la maggiore. Non riscontro nulla di quel che Visetti scriveva: “La
gente preferisce confondersi con la tenebra, rinunciare ai colori e
figuriamoci al bianco, per non vedere il veleno che la uccide”.
O Ancora. “La popolazione è
fatta di povera gente: minatori, operai, ex contadini invecchiati,
famiglie di figli unici. Sono ammassati in case rotte che commuovono,
nascoste tra montagne di detriti“ dice Visetti. Invece girando per la
città non si notano differenze dal resto della Cina. Anzi, pullulano i
negozi e come altrove la gente è smaniosa di consumare e compare. Le
banche, presenti in ogni via non sono sinonimo di povertà. Nel centro
una gigantesca pagoda è ormai diventata un’enorme isola pedonale. Si
sale con cinque yuan. Dentro si respira un clima di pace, ma dal balcone
la postazione è ottimale per scorgere la fiumana di auto che ingolfa
Linfen. Un immagine comune a tutte le grosse città della Cina.
Mi ristoro nella piazza principale
pensando a quanto le descrizioni di Visetti siano lontane dalla realtà e
a quanto sia bieco il suo voler toccare il cuore con immagini patetiche
tipo: “Passa una scolaresca: adolescenti già decrepiti, stesi su
lettini con le ruote, con la pelle sollevata dalle suppurazioni, la
testa che ciondola su un lato. Vanno al prelievo settimanale del sangue e
ripetono il passaggio più bello di un poema”.
Si avvicinano due belle ragazze,
curiose della presenza di uno straniero, e mi chiedono cosa ci faccio a
Linfen. Per comunicare utilizziamo il traduttore Inglese Cinese del
cellulare con risultati che sfiorano la comicità. Scopro che vengono dal
Sichuan, e si sono trasferite a Linfen perché… “money, money” dice la
più giovane delle due. Ad entrambe piace Linfen e non tornerebbero mai
nelle loro città natie, che mi indicano sulla cartina. Forse è in questi
posti che Visetti dovrebbe andare a cercare l’inferno. Città colme di
rifiuti, sommerse da nuvole di terra per le strade ancora sterrate, dove
si è costretti ad indossare sempre la mascherina.
QUI C’E’ LAVORO! – “Chi resta qua non ha alternative
– dice Visetti – gli altri fuggono”. Invece ciò che attrae a Linfen è
proprio la possibilità di trovare lavoro. Anche gli amici delle giovani
non sono originari di qua. Una delle due lavora in un negozio di
cellulari, l’altra di vestiti. Mi portano a visitare l’Università, alla
facoltà di belle arti. Il giardino è un bel parco con un laghetto e
delle pagode (gli alberi sono veri e non di plastica). Dentro si tiene
un’esposizione dei lavori dei tesisti. Come in ogni parco ci sono cinesi
che cantano e ballano.
In qualche
modo chiedo se è rara una giornata così bella. A quanto pare no; in
primavera e d’estate è all’ordine del giorno. Ma cosa raccontava allora
Visetti? È stato veramente qua oppure, come inizio a sospettare, è
rimasto nella capitale a fare ricerca sul web? Ora, non dico che Linfen
sia un posto splendido in cui trascorrere le proprie giornate, anzi al
confronto Voghera è un luogo gradevole, eppure quelle descrizioni
avevano solo la funzione di prendere lo stomaco. Suvvia, c’è anche la
possibilità che in quest’anno è mezzo sia cambiato tutto e abbiano
chiuso le centinaia di miniere di carbone che circondavano la città…. in
tal caso questo sarebbe un vero miracolo cinese. Ma stento a crederci.
Tornato a Pingyao, la
sera, approfitto del collegamento ad internet dell’ostello per fare un
po’ di ricerca. In Italiano l’articolo di Visetti è il primo e ha dato
il via ad una serie di cloni e riscritture, ma non è
difficile trovare le fonti d’ispirazione, in inglese. In Italia tutti
hanno dovuto affidarsi ciecamente al suo racconto. Forse ci piace
credere che in terra esistano inferni di questo tipo, ci piacciono le
favole tetre ma verosimili, quelle mascherate da giornalismo. Non c’è
solo la fabbrica del fango, ma anche quella delle polveri sottili.
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