venerdì 12 aprile 2013

A Chengdu tra belle ragazze e panda giganti

pubblicato su Giornalettismo

Chengdu, nel cuore del Sichuan, è una tra le città più popolose della Cina. Non ho bei ricordi, anche perché sono arrivato in pullman, stravolto e completamente incapace ad orizzontarmi. Su un fogliettino mi sono fatto scrivere in ideogrammi l’indirizzo di un ostello, ma nessuno dei tassisti ha idea di dove si trovi, così ripartono lasciandomi sulla strada. Intanto diluvia. Finalmente un tassista mi raccatta, regalandomi un’espressione rassicurante, ma dopo mezz’ora in cui gira per la città comincia a guardarsi attorno disorientato. Mi viene in mente di chiamare l’ostello, gli passo la receptionist, parlano per dieci minuti. Non ho idea di cosa si dicano, forse sta nascendo una love story. Mi fa segno che è tutto ok, ma guida ancora per alcuni minuti a vuoto. Alla fine si arrende, mi fa capire che proprio non riesce a trovare il posto, così sono costretto a cercare un tassista più affidabile. Arrivare soli, di notte, in una città di oltre 10.000.000 di abitanti, con i bagagli e la pioggia, senza conoscere la lingua è uno di quegli aspetti del viaggio che ti inducono a pensare che forse avresti fatto meglio a startene a casa e che al confronto Milano è accogliente come l’utero materno.
 
 
Chengdu è gemellata con Palermo, questo può riassumere la situazione traffico e caos con biciclette elettriche che sfrecciano in tutte le direzioni. In Cina l’abuso del clacson è costante (anche se è nulla in confronto al frastuono di Hanoi). Ci tengo a precisare che la cartina della Lonely Planet, la più diffusa guida per viaggiare in Cina, qua è inutile come un frigorifero al polo perché omette vie importanti e non consente di orientarsi. Quando mi perdo sono costretto a tornare all’ostello in taxi. La lezione che si impara in Cina è farsi scrivere oltre la via dell’ostello/albergo anche altre indicazioni, tipo le strade importanti il nome di qualche parco, tempio o punto di interesse delle vicinanze. Ci sono tassisti che evitano di raccogliere stranieri per scelta razzista, altri che non conoscono le strade della zona in cui vuoi andare (e questo è tutt’altro che strano vista la grandezza delle città). Chengdu è piena zeppa di taxi, ma nelle ore di punta sono tutti occupati e ci si può sbracciare ai bordi delle strade per decine di minuti senza ottenere altro risultato che l’allontanamento delle mosche. Dal nulla però appaiono tassisti abusivi sui motorini elettrici che riescono a sgattaiolare nel traffico. Con loro bisogna trattare il prezzo prima del giro. Spesso la trattativa è lunga e penosa.







 

Tutti questi elementi fanno sì che il turista che non vuole diventare pazzo e vagare fino allo sfinimento per la città, alla fine opti per i tour proposti dall’ostello o dell’albergo. Sembra quasi che questo, dal punto di vista del regime, sia un modo per evitare l’intraprendenza dei viaggiatori ficcanaso, che vogliono guardare la Cina oltre il velo (si veda per questo la parte del mio viaggio attraverso lo Yunnan). Tra l’altro le attività proposte da alberghi e ostelli sono interessanti e costano quanto farle in proprio, se non di meno. Sono anche le stesse che vengono suggerite dalla Lonely Planet (il collegamento è ovvio visto che i turisti in genere seguono pedissequamente ciò che suggerisce la Lonely Planet). Poi, unendosi ai viaggi organizzati si ha modo di conoscere altre persone che parlano inglese e si può smettere di pensare… Sì, perché la grande passione dei cinesi è organizzare dei viaggi per cui tu possa completamente resettare il cervello: loro organizzano, tu fai foto e shopping. Ti vengono a prendere in albergo in auto o col pullman e ti riportano indietro la sera, sano e salvo con migliaia di foto nella memory card e un sacchetto straripante di souvenir.



A Chengdu decido di unirmi ad uno dei tour organizzati dall’ostello, quello nel parco dei panda giganti. Difficile pensare a qualcosa di più noioso, anche perché sono costretto a stare nel parco (ubicato nella periferia dalla megalopoli) per tutto il giorno. Occidentali, cinesi, sono tutti in preda ad un delirio foto-compulsivo. C’è una scolaresca, cerco di evitarla appostandomi dietro un albero, ma mi vedono e sono costretto a fare la foto insieme a decine di bambini. Chengdu è la città dei panda: ci sono tutti i gadget possibili e immaginabili a tema panda, persino i biscottini di bambù e le sigarette, che però al parco non si possono fumare. Il parco è disseminato di cartelli con divieti di tutti i tipi: strano che non ci siano altoparlanti tra le fresche frasche che ricordino cosa non si può fare. Si cammina in questo bel parco alla ricerca dei panda, questi di solito dormono o se ne stanno nascosti, accoccolati e immobili come statue. Appena uno di questi grossi esemplari si gratta la schiena o muove le stanche membra stiracchiandosi, ci sono centinaia di turisti, giovani, vecchi, bambini, cinesi che per questi panda hanno percorso migliaia di chilometri, con le loro macchinette digitali, in fila come un plotone di esecuzione. I gridolini sono quelle di una scolaresca di pre-adolescenti in gita in un negozio di Hello Kitty.




Quello dei panda giganti è un parco a tema in cui si sono riusciti ad inventare di tutto riguardante questo urside simbolo del WWF: ci sono filmati, ristoranti (no, la carne di panda non viene servita!), negozi di gadget; si possono visitare le infermerie, dove preparano il cibo, si può fare una costosissima foto con un panda. Ci sono persino dei videogiochi a tema panda e una specie di panda-trivial. Il grande problema di questo grosso centro è che in cattività i panda non si riproducono. In preda alla disperazione le tentano tutte per stimolare loro l’appetito sessuale a fini riproduttivi, compreso far vedere filmati a luci rosse con panda come protagonisti. Credo che da qualche parte, in questo enorme e noiosissimo parco, trasmettano anche questi video. Il parco non è immenso – per capirsi si attraversa in una decina di minuti a piedi – eppure i cinesi sono riusciti a rovinare la quiete. Ci sono trenini che scorrazzano turisti da un’attrazione all’altra, da un habitat di panda ad un negozio di gadget ad un cinema dove trasmettono documentari. I turisti scendono, fanno un centinaio di foto a testa e risalgono soddisfatti in direzione della prossima attrazione. Finalmente è ora di andarsene. Sul pullmino dell’ostello ci accorgiamo che manca una ragazza americana, cerchiamo di spiegarlo all’autista ma non c’è niente da fare, lui continua a far cenno che è tutto ok. Partiamo senza di lei.


Ma a Chengdu c’è anche altro: una frenetica vita notturna, frequentatissimi ristoranti on the road, locali alla moda che sembra di trovarsi in una città europea, concerti e belle ragazze. Qualunque cinese dice che a Chengdu vivono le più belle ragazze della Cina, e non posso che confermare questo stereotipo. Inizio ad intravedere anche in questa città la figura del cinese Hipster che a Pechino è sempre più diffuso. In un ostello così cool che sembra di stare a Londra, mentre sorseggio una birra a prezzi occidentali, si siede di fianco a me un ragazzo che tira fuori un sacchetto pieno di marijuana e si mette a rollare una canna, tenendo l’erba tranquillamente sul tavolo. La quantità è da condanna a morte, ma lui sembra indifferente ai pericoli. C’è anche una via pedonale con costosi ristoranti etnici. Per tutta la notte si possono mangiare spiedini di carne e verdure grigliate per la strada, buoni ed economici. Ed è una delle cose più facili perché basta indicare e fare il segno del numero. Ma non illudetevi, in Cina neanche con i gesti è facile capirsi.




DU FU CAOTANG, IL DANTE CINESE - In ostello conosco una ragazza cinese. Scopro che c’è un giro di locali che frequenta il costoso baretto dell’ostello per esercitarsi con l’inglese. È all’ordine del giorno trovare studentesse di lingue ambiziose che per parlare l’inglese sarebbero disposte a tutto. Spero di unire il suo utile al mio dilettevole e noleggiamo una bicicletta. La seguo in giro per la città dove mi fa da guida. Gli studenti hanno forti sconti per parchi e pagode. Da buon italiano imparo a presentare la patente di guida e spacciarla per carta degli studenti. Qua a Chengdu funziona e ottengo sconti sostanziali! Passiamo davanti all’enorme statua di Mao nella piazza centrale, assolutamente imperdibile, che indica la via da seguire, vale a dire negozi, centri commerciali, shopping mall; la via del capitalismo. Andiamo a veder la casa di un noto scrittore cinese che ha vissuto attorno al 700, Du Fu, il nostro Dante, il poeta preferito da questa ragazza. Noto che i riferimenti biografici sono più importanti che l’opera. Il sogno di Du Fu era migliorare la Cina lavorando come burocrate, attenendosi quindi a rigidissime regole. Genio e “regolatezza”, di cui il primo è inevitabilmente derivato dalla seconda.
Dopo, la ragazza mi porta a vedere il tempio di Wenshu Yuan. Le chiedo di condurmi al di fuori di queste “tacche da Lonely Planet”, ma è impossibile. Sono turista e la Chengdu che devo vedere è quella da cartolina, tanto che vorrebbe anche portarmi nel famigerato parco dei Panda. Insomma, non si riesce ad uscire dai binari. Parla un inglese ed un francese invidiabili, le domando se conosce qualche autore inglese o francese, ma mi dice di no. Ma come è possibile che ad un’appassionata di letteratura non sia venuta questa curiosità? Le divergenze culturali tra noi e i compagni cinesi sono insormontabili. Quello che sorprende, a noi occidentali, è la loro rigidità, la loro mancanza di elasticità mentale. Ora, non vorrei venire tacciato di etnocentrismo con queste mie considerazioni, a scanso di equivoci ripeto che sto parlando di differenze. Approfondirò anche in seguito questa caratteristica, parlando con italiani che vivono in Cina e conoscono il mandarino. Questa rigidità viene fuori soprattutto dalla lingua. Se non pronunci una parola nel modo esatto, loro non capiscono e ti etichettano come non parlante della loro lingua e rinunceranno a dialogare con te in cinese. Basta sbagliare il tono di una vocale (nel mandarino ogni vocale ha 4 tonalità) di una parola e loro non comprendono ciò che vuoi dire, è come se non riuscissero a fare quel brevissimo passaggio linguistico. So che il mio esempio è molto approssimativo, ma se stiamo parlando di città e dico “Milàno”, non riuscirebbero a capire che intendo Milano. Con le città della Cina sovente finisco per indicare direttamente la località sulla cartina, è l’unica possibilità per far capire ciò che intendo. Fare i biglietti del treno ogni volta è un impresa. Insomma: o lo dici in modo perfetto o loro non ti comprendono. Continuiamo il nostro intenso tour per parchi, templi e teahouses, poi andiamo a mangiare in un hot pot con specialità del Sichuan. Sua piccantezza abita qui.

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