venerdì 12 aprile 2013

A Pechino c'è un ristorante che sembra un cesso

pubblicato su Giornalettismo

 L’insegna è eloquente: una cacca. Di quelle classiche, arrotolate e stilizzate. Antropomorfizzate. Di fianco all’ingresso un cesso, all’interno del quale sembra che siano stati espletati bisogni fisiologici. Poi una scala stretta che sale, disegni alle pareti lasciano intendere che la protagonista sarà sempre lei, anche al piano di sopra: la merda. Vi è venuto appetito? In caso di risposta affermativa a Pechino c’è il ristorante che fa per voi, che ha fatto della liberazione intestinale la sua ragion d’essere. Si trova in una delle vie più trafficate e turistiche, Di’anmen, a meno di un chilometro dalla Torre del Tamburo, a due passi dal parco Beihai, dove quasi si vedono più visi pallidi che musi gialli.




Non aspettatevi di trovarlo brulicante di avventori. Anche quando ci sono stato io non c’era l’ombra di un cliente. Facile pensare che il numero di coperti serviti giornalmente sovente sia pari a zero. La novità non fa più breccia nel cuore dei patiti del genere weirdo ed il cibo è scadente. Mediocre il riso, oscena la pizza, insapore il purè di patate, che però ha proprio le sembianze della cacca, elevato il conto. Il riso viene servito in un piatto che simula una mini-turca, le bevande in calici escrementizi, sulle pareti gioiosi graffiti a tema. Per mangiare si sta seduti sulla tazza del cesso e tutto l’arredamento è basato su ciò che si può trovare in un bagno, ma c’è una pulizia a cui chi frequenta le classiche bettole cinesi negli hutong, dove si mangia dignitosamente con 20-30 yuan (2-3 euro), non è abituato. Insomma, si tratta di una curiosa trappola per turisti o per cinesi modaioli, che comunque a Pechino non mancano.







 


A gestirlo è una giovane coppia di cinesi. È facile immaginare che a breve il ristorante chiuderà e loro tenteranno la fortuna con altri business. Qua a Pechino è un vorticoso aprire e chiudere di locali. Nel giro di un paio di mesi capita che un posto apra e fallisca, come se nulla fosse; si costruisce, si demolisce, si cambia di gestione a ritmi impazziti. La fisionomia della città muta veloce, gli esercizi commerciali si susseguono, la concorrenza è spietata. Ci sarebbe da raccontare la storia di un italiano di 32 anni, Federico Moro, che quest’estate ha aperto il primo negozio di articoli da giocoleria della Cina, “Yiliao Juggling Shop”, ma dopo qualche mese ha dovuto chiudere a causa delle scarse entrate ed ora si sta dedicando alla vendita online. Come lui forse saranno costretti a chiudere anche i ragazzi del “toilet restaurant”, ma intanto c’è ottimismo e si rischia. E l’economia cinese va a gonfie vele.




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